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PriMo 2020 – Medaglia d’oro al PIWI Wine Award 2021

Con questo post vogliamo portare all’attenzione della nostra community il grande riconoscimento che ci è stato attribuito in questa settimana con il nostro vino, in occasione del «PIWI WINE AWARD 2021», il più grande concorso enologico su varietà resistenti al mondo, dove il nostro vino ha gareggiato con cantine non solo friulane e italiane, ma di tutta Europa, aggiudicandosi la medaglia d’oro.

Innanzitutto un ringraziamento a chi ha contribuito in egual misura al raggiungimento di questo traguardo, vale a dire all’enologo Paolo Valdesolo e al dott. Nicola Macrì, con tutte le sue splendide ragazze del laboratorio enologico.

Grazie anche a Flavio De Santa, al dott. Michele Bona, al dott. Filiberto Fantin e al dott. Federico Fantin per tutto quello che hanno fatto in questi sette anni di lavoro. Un «grazie» anche al Comune di Forni di Sotto per aver sempre lavorato sodo per lo sviluppo di questa iniziativa.

Lo scopo di questo post, però, ha anche l’importante obiettivo di richiamare l’attenzione su quanto è stato fatto, non per creare inutili lodi e complimenti, certamente piacevoli, ma per focalizzare l’attenzione su una possibile, se non ultima, possibilità di sviluppo dell’agricoltura nell’area montana friulana.

Tutta la montagna friulana, negli ultimi quindici anni, nonostante gli sforzi delle varie amministrazioni di tutti i comuni del territorio, sta subendo un impoverimento, anche piuttosto rapido, sia sul piano sociale, economico, infrastrutturale e lavorativo.

Stiamo perdendo (tra chi se ne va e chi muore) una percentuale che oscilla tra il 5% e il 10%, con una tendenza costante negli ultimi dieci anni: quindi non serve certo un laureato in astrofisica per capire che se le cose non si invertono, tra 20 anni più della metà delle comunità esistenti oggi scomparirà.

Con questo risultato vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica sulle grandi opportunità di sviluppo nel settore agricolo che vorremmo offrire alle nostre regioni.

Non eravamo dei maghi e non abbiamo scoperto nulla di nuovo, credetemi: abbiamo semplicemente utilizzato vitigni da vino che 10 anni fa non si potevano coltivare perché non erano disponibili sul mercato. Sono varietà che si adattano bene ai nostri climi, che hanno una germinazione tardiva e, soprattutto, una maturazione precoce. Sono ibridi che non hanno nulla a che vedere con gli OGM o con l’ingegneria genetica. E la cosa migliore è che richiedono un numero di trattamenti fitosanitari significativamente inferiore rispetto alla viticoltura tradizionale (due o tre trattamenti all’anno nelle annate molto piovose rispetto ai venticinque della viticoltura tradizionale). Si tratta quindi di un’agricoltura biologica a bassissimo impatto ambientale.

Infine, come dimostrato, producono risultati molto validi a livello organolettico, per alcuni addirittura unici, dato che il nostro terroir è ancora «inesplorato» per certi versi «unico.»

Ora vorremmo che questo risultato fosse uno stimolo per le istituzioni a puntare su questo tipo di agricoltura innovativa, creando così un territorio che, senza saperlo, è anche fortemente vocato alla viticoltura montana.

Tutte le considerazioni circa il dopo e ciò che creerebbe sono facilmente deducibili.

 

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