Il comune di Forni di Sotto si trova nel settore nord-occidentale del Friuli Venezia Giulia, in provincia di Udine (coordinate GPS: LAT. 46° 24’0′′ N e LONG. 12° 40’0′′ E) e si trova ad un’altitudine di 777 m. s.l.m.. Confina con i comuni di Forni di Sopra (UD), Sauris (UD), Ampezzo (UD), Socchieve (UD), Tramonti di Sopra (PN) e Claut (PN).

Si estende su un’area di 93,54 chilometri quadrati lungo la direzione est-ovest nell’alta Val Tagliamento, con un dislivello di circa 1900 m. (passa, infatti, dai 550 m. s.l.m. dell’alveo del fiume Tagliamento, ai 2473 m. s.l.m. del Monte Bivera).

Il comune di Forni di Sopra si estende anche nel settore nord-occidentale del Friuli Venezia Giulia, in provincia di Udine (coordinate GPS: LAT. 46° 25’2′′ N e LONG. 12° 34’6′′ E) e posto ad un’altitudine di 906 m. s.l.m.. Confina con i comuni di Forni di Sotto (UD), Sauris (UD), Lorenzago di Cadore (BL), Socchieve (UD), Tramonti di Sopra (PN) e Claut (PN).

 

 

Si estende su una superficie di 81,66 chilometri quadrati, anch’essa lungo l’itinerario Est-Ovest nell’alta Val Tagliamento, con un dislivello di circa 1791 m. (passa, infatti, dai 790 m. s.l.m. dell’alveo del fiume Tagliamento, ai 2581 m. s.l.m. del monte Cridola).

Il clima di Forni di Sotto e Forni di Sopra può essere definito subalpino. La durata media del gelo notturno è di circa 25 settimane all’anno.

La valle dei due Forni si sviluppa lungo la direzione Est-Ovest, favorendo così i transiti dei venti NE ed E-NE, che sono i più frequenti e anche i più freddi. Altri venti sono quasi assenti, dato che ci troviamo di fronte ad una valle chiusa. Vi sono, tuttavia, nei periodi estivi, venti a monte e a valle, generati prevalentemente da correnti termiche. Le gelate notturne possono talvolta verificarsi anche in tarda primavera, provocando danni alle colture e alle piante da frutto.

Per un’analisi più precisa e precisa delle condizioni meteorologiche e climatiche, tuttavia, è necessario fare riferimento a misure scientificamente provate.

Analizzando il climatogramma realizzato con i dati ottenuti dal sito OSMER FVG (www.osmer.fvg.it) da ottobre 2004 a settembre 2016, la curva delle precipitazioni è sempre di gran lunga superiore a quella della temperatura, quindi non ci sono problemi di siccità per le piante; c’è anche una grande piovosità estiva, che indica che le piante non sono soggette a stress idrico.

Le precipitazioni, nel complesso, non sono molto elevate; si registrano scarse precipitazioni nei mesi invernali. A Forni di Sotto (dati degli ultimi 15 anni) le precipitazioni medie annue si aggirano sui 1.825 mm, mentre a Forni di Sopra (dati degli ultimi 15 anni) le precipitazioni medie annue si aggirano sui 1.800 mm. (dati forniti dalle stazioni meteorologiche della Protezione Civile del Friuli Venezia Giulia).

Da gennaio 2015 e fino al 31 agosto 2016 (anni di riferimento per gli impianti Solaris FR 360 già impiantati per le prove), i dati relativi alle precipitazioni sono stati i seguenti:

Esaminando la curva delle temperature mensili, si nota che esse sono in media sopra lo zero per 11 mesi all’anno; il mese più caldo è luglio, mentre i mesi più freddi sono dicembre e gennaio. Si osserva che l’aumento delle temperature è abbastanza repentino a partire da febbraio, mentre la diminuzione è meno brusca a partire da settembre.

Ci sono cinque mesi di gelate sicure e sono i mesi che vanno da novembre a marzo.

I periodi con probabili gelate, invece, comprendono anche i mesi di ottobre e aprile.

Da queste considerazioni si può dedurre che il periodo di vegetazione sicura per le piante è di 7 mesi, cioè da aprile a ottobre.

L’indice di continentalità (Ic) calcolato è 18,10, valore che colloca le aree di studio in un clima semicontinentale.

L’indice termico (It) dà un valore di 122,7 e la somma annua delle temperature (Tp) è 961,25; i due valori indicano che il bioclima è di tipo supertemperato.

L’umbrotipo restituisce un valore di 12.89 quindi di tipo iperumido.

Temperature minime raramente scendono sotto – 15,0 ° C.

Due stazioni meteorologiche identiche sono state installate nei campi sperimentali «Drogne» e «Tavarons»: il modello è un PCS FWS 20 di PCE Instruments. Il campionamento dei dati avviene ogni venti minuti e tutto viene registrato su computer. Per quanto riguarda il campo sperimentale di Pradas, ci affidiamo ad una stazione meteorologica professionale di Davis, installata a circa 30 metri dal campo.

Inoltre, come già accennato, nei pressi del campo «Drogne» è stato installato un piranometro per la corretta misurazione della radiazione solare.

Dal punto di vista geologico, Forni di Sotto e Forni di Sopra, così come tutta la regione carnica, fanno parte delle Alpi Sud-Orientali, una catena montuosa con spinte meridionali in attività dal Miocene medio-basso all’attuale estensione dal Veneto occidentale fino al confine italo-sloveno. Lungo l’Alta Valle del Tagliamento (che dal punto di vista geografico si trova al confine tra le Alpi Carniche meridionali a nord e le Prealpi Carniche a sud), emerge un substrato roccioso di età prevalentemente mesozoica. A nord (Alpi Carniche meridionali) emergono territori di età triassica prevalentemente medio-bassa (Fm. Di lancio, Fm. Di Lusnizza, sequenze conglomeratiche dell’Alto Anisico, Dolomia dello Sciliar) localmente accompagnate alla base da terreni ancora più antichi di età permiana (Fm. A Bellerofonte) che emergono dal fondo delle principali valli a seguito dell’erosione glaciale e fluviale (Valle del But, Valle del Chiarsò, Valle del T. Pontaiba). Le Prealpi Carniche settentrionali, invece, sono quasi interamente costituite da rocce provenienti dalle Triadi superiori (Fm. Di Raibl, Fm. Del Monticello, Dolomia di Forni e Dolomia Principale).

Lungo l’alta valle del Tagliamento, i terreni più antichi del Permo-Triassico entrano in contatto con le più recenti sequenze rocciose delle Prealpi Carniche settentrionali. Il contatto è quindi anomalo, ponendo i terreni più vecchi al di sopra di quelli più recenti. È legata a motivi tettonici: lungo la valle del Tagliamento, sepolta sotto le coperte del Quaternario, si trova infatti una struttura sovrapposta in direzione E-O: la linea superiore del Tagliamento.

Altre importanti dislocazioni tettoniche caratterizzano l’area in questione: la principale è la cosiddetta Linea dei Sauris che sovrappone rocce del Permo-Trias su rocce più recenti della Triade Centrale. Questo straripamento che interessa tutto il versante nord dell’alta valle del Tagliamento da Forni di Sopra a Ovaro ha generato ampie fasce di rocce cataclastiche che caratterizzano, ad esempio, l’intera conca del Torente Auza.

La valle del Tagliamento tra Forni di Sopra e Forni di Sotto mostra evidenti segni di modellazione glaciale. Purtroppo ci sono poche testimonianze della presenza di ghiacciai prima dell’ultima avanzata glaciale (Last Glacial Maximum LGM, che si è verificato nelle Alpi Carniche circa 20.000 anni fa). L’unica testimonianza di antiche glaciazioni sembra essere data dai depositi glaciali cementati («morene antiche» di Pisa, 1973) presenti in sparsi affioramenti nei pressi del Ponte Sacrovino. Questi giacimenti sono dati da un conglomerato ben cementato con ciottoli di varia dimensione e natura, da subarrotondati ad angolari, in parte alterati e non lavorati, del tutto privi di classificazione e orientamento. La matrice è abbondante e prevalentemente grigia o giallastra.

L’impronta morfologica fondamentale è invece legata agli eventi a partire dall’ultimo massimo glaciale. Più significativa, infatti, l’evidenza geologica legata all’ultima glaciazione: estesi accumuli di materiale sciolto con abbondanti frammenti litoidi, per lo più variamente arrotondati, di dimensioni molto eterogenee (da pochi cm a diversi m.), disponibili caotici, immersi in una matrice argillosa, sabbiosa o ghiaiosa, spesso molto abbondanti, emergono nei pressi della località Melaresca. Da notare che gli scogli presenti rappresentano tutti i tipi litologici emergenti nel Tagliamento superiore e talvolta anche rocce metamorfiche e ignee provenienti da conche valli limitrofe.

Prendo a testimonianza questo scritto, tratto da «Note monografiche dei Comuni di Forni di Sopra e di Sotto Savorgnani» Tip. Biasutti – S. Daniele, 1893, dove si spiegano le origini dei Forni Savorgnani, gli abitanti di Forni di Sotto e Forni di Sopra.

Le origini dei due Savorgnani Forni sono tutt’altro che sconosciute: ma dalle induzioni toponomastiche e dalle monete rinvenute qua e là si può risalire all’epoca romana. L’etimologia di Vico, da vicus – capoluogo del comune di Forni di Sopra, e una delle frazioni di Forni di Sotto, così come il nome di varie località che si potrebbero addurre, tutte derivate dal latino, e in termini di monete basti citare, tra gli altri, quello recente dell’imperatore Gordiano (III sec.) rinvenuto nei pressi di Andrazza.

Dopo la caduta dell’Impero Romano (476 d.C.) questa valle subì anche le varie incursioni dei barbari, i quali con i Longobardi lasciarono le loro tracce in diversi sarcofagi qui rinvenuti, contenenti fra le molte ossa, fibule, spilli e altri ornamenti caratteristici di quei popoli.

Il primo documento che attesta l’esistenza di uno dei due paesi, lo abbiamo in una donazione fatta nell’anno 778 dal duca Tassilone (1) all’Abbazia di Sesto. Questo Tassilone era Duca di Baviera, discendente della stirpe Agilulfi, che su istigazione della moglie Luitberga figlia di Desiderio, dopo essersi ribellata a Carlo Magno, fu da lui deposto e rinchiuso in un chiostro. Con questo atto di donazione, il Duca cedette il borgo di Forni e i suoi annessi all’Abbazia di Sesto, in suffragio dell’anima del suo Re:

Da questo atto di donazione emerge innanzitutto che un borgo dei Forni era giuridicamente soggetto all’abbazia di Sesto, e tra due mi tendo a considerarlo come il borgo di Forni di Sopra, perché proprio nel suo territorio si trova ancora oggi una località chiamata Badia, e Cella è ancora oggi chiamata una frazione di essa. In secondo luogo, dall’atto stesso risulta che all’epoca esistevano sul territorio miniere di ferro e di rame, cosa che verrebbe confermata anche dal nome stesso di Forni. Queste miniere, però, furono forse completamente esaurite, cosicché oggi non si può decifrare il luogo della loro antica esistenza.

Nel corso di oltre quattro secoli non esistono altri documenti che menzionino i Savorgnani Forni, ad eccezione del castello di «Forno» citato più volte prima del X secolo. Nei Forni Savorgnani esistevano infatti tre castelli: uno situato a nord-ovest di Forni di Sotto su un promontorio ancora chiamato «Çiastelàt», l’altro a Forni di Sopra su un colle tra le frazioni di Cella e Andrazza ancora detto «Cuol di Çiastiel», e un terzo situato a sud-est di Andrazza sopra un promontorio detto «Sacquidic.» « Quest’ultimo sembra essere stato un semplice castello di avvistamento costruito lì a guardia della strada sottostante che si trovava sulle rive del Tagliamento. Essendo stata poi distrutta da un incendio, e negli scavi sono stati rinvenuti solo alcuni piccoli Aquileiani (2), non è possibile decifrare con certezza l’epoca della sua fondazione; esistono tuttavia dati che inducono a ritenere che non risalga oltre il XII secolo. Quindi un altro deve essere il castello di Forno, ricordato, come dicevo, anche prima del X secolo; ma quale fosse tra gli altri due, non ci sono dati da poter definire con certezza.

Tuttavia, come ho detto sopra, non ci sono documenti riguardanti la città nei quattro secoli successivi, non è neppure fondato supporre che la città seguisse le vicende dell’abbazia alla quale era soggetta; e pertanto, tra i ventidue borghi inclusi nella concessione fatta nel 967 da Ottone I al Patriarca di Aquileia Rodoaldo, si può sostenere che fosse incluso anche il borgo di Forni. In ogni caso, è certo che all’inizio del Duecento i due comuni erano già sotto il dominio patriarcale; e nel 1224, anno in cui vennero stabiliti i confini tra Forni di Sotto e il comune di Claut, era già tra i testimoni un amministratore del patriarca Bertoldo. I Patriarchi, tuttavia, deteneva solo l’alto dominio dentro di sé, e investito la giurisdizione della terra dei signori feudali o signori, che essi stessi vincolati in tempo di guerra, pagato il landemium e un tributo annuale. Tra i feudatari dei Forni troviamo ricordati: nel 1277 un Diopoldo, un Francesco, un Raimondo e un Verna; e più tardi un Mainardo e un Arnoldo. Ricordiamo anche uno Sturido, un Bartolomeo e Zuffone, un Paolo e un Raimondino. Poi, tra il 1253 e il 1255, un Guarnieri di Artegna, un certo Stefano di Zegliacco, un certo Enrico di Mels e un Rogerino di Milano appaiono investiti dai patriarchi di particolari fattorie nel territorio di Forni. Nel 1300 troviamo un certo Francesco di Socchieve investito della Signoria di Forni, il quale s’impegna solennemente con gli abitanti dei due comuni a mantenerli nell’esercizio di tutti i loro diritti e costumi che il padre Leonardo e Arnoldo quondam Mainardo avevano già rispettato (3).

Alla morte di questo Francesco, il Patriarca investe nella giurisdizione di Forni certi Gualtiero quondam Ermano di Nonta contro i quali gli abitanti e insieme con loro i figli del suddetto Francesco reclamavano dal Patriarca. Essi hanno lamentato che egli è stato venale in cause, e che in frasi sfavorevoli a lui, da meriga ha fatto appello ai suoi vassalli. Hanno detto che non ha mai voluto eseguire una sentenza, già pronunciata, e che ha deciso molte dispute di sua volontà. Il Patriarca fece esaminare le loro denunce da fra Giovanni Abate di Rosazzo, il quale, sentite le parti, stabilì che Gualtiero non poteva di sua volontà molestare gli abitanti di Forni; ma per ascoltare e difendere le ragioni di ciascuno, e per pronunciare una sentenza giusta gli statuti locali, e una volta pronunciata la inviarono a dare effetto, sempre fatto salvo il diritto di appello reciproco tra i due Comuni, o in terza istanza dal Patriarca, come era sempre stato praticato nei tempi antichi. Questa sentenza fu pronunciata a Gemona nell’anno 1320. Sei anni dopo Gualtiero vendette i castelli e la giurisdizione di Forni a Ettore Savorgnano per 150 marchi doppi di valuta aquileiana a Ettore Savorgnano, che da quel momento mantenne il dominio nella sua stirpe per quasi cinque secoli; da qui il nome di Forni Savorgnani ai due comuni.

Questi signori feudali dipendevano, come ho detto sopra, dai Patriarchi dai quali dovevano ripetere l’investitura ad ogni cambio di dominio. Tuttavia, essi non risiedevano nei villaggi, ma tenevano nei due comuni un amministratore che veniva eletto dal quartiere e confermato dal Signore al quale egli giurò «di fare le cose utili, lecite e necessarie per il comune e di conservare le ragioni dei loro mecenati e dei loro rappresentanti legittimi.» Insieme al meriga che nello stesso modo è stato eletto e confermato dal Signore e i giurati hanno deciso le dispute in prima istanza. L’appello (seconda istanza) fu fatto tra i due comuni; i delitti di sangue e le decisioni di appello finale (III istanza) furono riservate al feudatario. Se sorgeva una lite con altri comuni, o se vi erano reclami contro lo stesso feudatario, la decisione era riservata al Patriarca, e il dominio patriarcale cessava al Luogotenente della Repubblica, il quale fungeva anche in altri casi da Corte Suprema.

Il meriga era tenuto a dare immediata partecipazione al Signore ad ogni delitto, ad eccezione delle semplici offese personali per le quali egli doveva lasciar passare 24 ore prima di denunciarle, affinché le parti potessero, riflettendo meglio sui loro casi, fare pace. E se si trattava di sangue, dovevano essere segnalati anche se erano casuali e non attribuibili all’autore. E siccome spesso accadeva che tali fatti venissero nascosti dai meriga per evitare il fastidio e le spese di quei lunghi processi, già nel 1560 cominciarono a consegnare agli amministratori dei due paesi due libri numerati con il timbro di Savorgnano, nei quali venivano registrati tutti i fatti accaduti e le denunce fatte con le relative date e testimonianze, con una penale di L. 100 per ciascuna commissione. In caso di morte violenta o di lesioni con pericolo, egli doveva assicurarsi che la persona ferita o la salma fosse frazionata e visitata da un chirurgo assistito da un notaio che avrebbe scritto il proprio giudizio su di essa. Questi libri furono poi visitati ogni anno dal capitano di Osoppo nella visita che fece per conto dei Savorgnani ai due comuni. Nelle sentenze, oltre al rispetto per i pubblici funzionari, si richiedeva il massimo rispetto per Dio Onnipotente come anche per la Vergine e i Santi, e chi osava pronunciare una bestemmia contro di loro cadeva irrimediabilmente nella pena di Marca un etiam a discrezione del Giudice secondo la qualità della bestemmia.

Così la violazione dei precetti della Chiesa costituiva una questione di giudizio. Se, a titolo di esempio, qualcuno, salvo in caso di necessità, avesse osato lavorare, il partito sarebbe ricaduto sotto la pena di L. 2,00 (datato 1640).

Oltre agli affari giudiziari, il meriga presiedeva anche gli interessi amministrativi del comune. Questi interessi venivano trattati nel quartiere che consisteva nell’incontro e nel voto di tutti i capi delle famiglie del paese, e si riunivano a Forni di Sopra sulla piazza della fontana e a Forni di Sotto sul colle di San Martino. In questi quartieri, oltre al meriga e all’amministratore, venivano eletti tutti gli altri funzionari pubblici; e alla fine venivano eletti anche procuratori speciali nelle loro dispute e, al tempo dei caristas, agenti speciali per la provvista comune di viveri. Essi deliberavano anche in questi quartieri sul buon governo dei boschi, sul godimento dei pascoli e delle capanne, sugli interessi delle Chiese, sull’insediamento delle strade, sullo sgombero della neve e su acquisti o vendite di interesse comune. Nelle vicinanze sono state inoltre prescritte alcune formalità giuridiche o sono stati vietati gli abusi che esistevano nel foro.

Se poi consideriamo l’andamento economico dei due paesi, che tre secoli fa contavano insieme solo 1.200 abitanti, ci troviamo di fronte ad un quadro di miseria desolata. A parte i pochi artisti indispensabili alla convivenza sociale e alcuni tessitori che si sono messi a lavorare nelle città vicine, vediamo l’industria quasi completamente trascurata. I prodotti dei campi fino al secolo scorso, coltivati esclusivamente con orzo, segale e fave, davano loro cibo solo per due mesi, e i frutti della pastorizia dovevano compensare il resto. E per di più, c’erano mille fardelli, mille livelli da pagare. C’erano piani con il monastero di Gemona (1376-1253), naturalmente alcuni con i feudatari ai quali, almeno negli ultimi tre secoli, ciascun paese pagava. L. 98,00 solo per la decima, c’erano piani per le Chiese e dal 1449 molti generali furono fatti alle Chiese di San Giacomo e di S. Floriano in. Forni di Sopra, come continuano ancora oggi … E poi c’erano i doveri della muda nel trasporto delle derrate alimentari, i doveri della beccaria, la tassa della macina, del campatico e si continua a dire. Inoltre, il mantenimento dei loro cernidi in tempo di guerra era di loro competenza, il riatto e la manutenzione delle strade, lo sgombero della neve e la gestione delle carrozze per i servizi pubblici secondo le necessità. E quasi tutto questo non bastava, sommato ai costi delle liti molto frequenti e interminabili che essi sostenevano con i paesi vicini e spesso tra gli stessi due comuni di Forni.

Nel Duecento oltre le questioni di giurisdizione ecclesiastica tra i due comuni venne portata a papa Innocenzo III; vi fu la questione dei confini tra Forni di Sotto e il comune di Claut, questione che venne risolta nel 1224. Nel secolo successivo, oltre alla collisione, già ricordata, con Gualtiero di Nonta, nel 1320, e al risveglio della questione ecclesiastica tra i due comuni che si suscitò nel 1347; si ebbe con il Codore la celebre questione del Monte Mauria. Pagano Savorgnano vantava la giurisdizione, e Forni di Sopra il dominio di questo monte, dominio e giurisdizione contestata dal popolo Cadorino. Il patriarca delegò a giudice della controversia il nobile istriano Giacomo Marnet Marnet, ma questi non poté assumere questo ruolo a causa dei suoi numerosi affari; il patriarca incaricò il capitano del Codore, Alessandro Brugno, di pronunciare le sentenze in questione. Ingaggiò dieci cadoriani tra i più anziani e disinteressati in questione, e convocò il Savorgnano con dieci uomini retti di Forni di Sopra, e, udite le ragioni della parte, decretò che il Rio Stabio e il torrente Torre segnavano i confini tra i due paesi. L’atto di terminazione fu scritto sopra il luogo, e precisamente sulle fonti del Tagliamento, il 6 giugno 1353. La questione, però, si aggravò vent’anni dopo con il patriarca Marquardo che si impegnò a ristabilire la disputa a Rinaldo della Porta; e di nuovo si agitò nel secolo successivo dal 1435 al 1441 per la riparazione della strada, nel 1484 per i pascoli e infine nel 1609 per il taglio di un bosco sulla stessa Mauria. Infatti avendo all’epoca quelli di Forni tentarono di opporsi al taglio; nell’aprile di quell’anno, una folta schiera di Cadorini completamente armati uscì ben presto e sterminò il bosco. Lì catturarono, tra gli altri, un povero fabbro di Forni, e lo picchiarono, lo rinchiusero tutto malmenato per tre mesi di carcere, fino a che tutto fu risolto dal capitano e dai Savorgnani.

Contemporaneamente, tornando al Duecento, Forni di Sopra si agitava per la questione di Mauria; si lamentava anche per gli orrori della fame. L’orribile peste scoppiò nel 1348 che desolò tutta la provincia e spopolò i villaggi della Carnia; essi si conservarono dietro alcuni anni di terribile carestia, e il ricordo dei due flagelli che colpirono i poveri abitanti, l’angarìa del terzo flagello, era ancora recente: la guerra.

Alla morte del patriarca Marquardo, nel 1381 venne eletto al suo posto il cardinale Filippo d’Alansone; ma ben presto una fazione di uomini sediziosi si schierò contro il neoeletto, capeggiato da Federico Savorgnano. Dopo varie lotte contro il partito patriarcale in Friuli, Savorgnano entrò in Carnia, fece capitolare Tolmezzo e proseguì lungo il canale del Socchieve per conquistare il Codore. «Ma prevedendo – cito le parole esatte di un’antica nota – che l’impresa del Codore si sarebbe rivelata difficoltosa rispetto al prossimo inverno, che di solito porta grandi quantità di neve in quelle parti montuose, un notevole impedimento alla condotta degli eserciti; sospesa per la stagione migliore per proseguirla. Ma trattenendo il quartiere Savorgnano in quella stagione in Carnia (probabilmente nei suoi possedimenti Forni), riuscì segretamente la resa del Codore. Per facilitare meglio il suo esito, vi ha mandato alcuni fiduciari dal suo castello di Forno con il pretesto di trattare come facevano una volta, i miei affarirci, e ha fatto la resa. Filippone della Torre, che era stato messo dal Patriarca Capitano del Codore, fu tradizionalmente fatto prigioniero e così senza spargimento di sangue Codore prese anche le parti di Savorgnano.»

Nel 1412 questi villaggi dovettero subire nuovamente oppressioni e forse vessazioni da parte degli Ungheresi che vi passarono col Misitino per l’occupazione del Cadore; è più che probabile che i due paesi si siano schierati con loro. Tristano, loro Signore, per sostenere le parti della Repubblica. In questo secolo dal 1465 al 1471 dovettero anche fornire cernidi per far fronte alle varie incursioni dei Turchi; e al di là delle guerre non mancarono nemmeno le collisioni, ma si agitarono con più violenza che mai tra i due comuni di Forni.

Ci furono problemi nel 1406 per i confini, che certamente Nicolò da Venzone prestò per appianarli, nel 1420 per i pascoli in località Daguossas, nel 1488 per il monte Fluattas che Tristan Savorgnano decretò che fosse goduto da Forni di Sopra fin dal giorno di S. Michele per tutto il mese di maggio, riservando gli altri mesi a Forni di Sotto. Ma la grande questione che si è posta in questo secolo tra i due paesi è stata lo smembramento delle due parrocchie.

Già, come accennavo, dal 1205 era agitata la questione quale delle due chiese, cioè quella di S. Maria a Forni di Sopra o quella di S. Maria e Martino a Forni di Sotto, dovesse essere la matrice. La controversia fu inoltrata a papa Innocenzo III che delegò come giudice in questione il vescovo di Belluno e Feltro Turisini. Vengono convocate le parti, ed i procuratori di Forni di Sopra affermando che la loro chiesa era di antichissima chiesa battesimale data e matrice di tutte le altre chiese sia di pertinenza propria che di Forni di Sotto, affermando invece i procuratori di Forni di Sotto invece, dopo aver esaminato i titoli e soppesato le ragioni delle parti; stabilì che la Chiesa di S. Maria e Martino di Forni di Sotto fosse riconosciuta come Matrice, e che perciò un sacerdote di quella chiesa si recasse a Forni di Sopra per la solenne benedizione del battistero il Sabato Santo e la Veglia di Pentecoste. Ci fu poi, però, nel 1347 un nuovo disaccordo sull’argomento ma ciò nonostante le cose andarono con relativa calma fino al 1445. In quell’anno, su richiesta del comune di Forni di Sopra. che in quel tempo aveva una popolazione maggiore di Forni di Sotto, il cardinale Lodovico Mezzarotta Patriarca di Aquileia eresse la loro Chiesa di S. Maria in parrocchia direttamente dipendente dal Patriarca. Il parroco e i Sindaci di Forni di Sotto si opposero ben presto a questo decreto, ma nel 1448, grazie soprattutto a Giovanni da Pistorio, aderirono di comune accordo all’erezione di Forni di Sopra nella pievania rurale chiedendo ottanta ducati a beneficio della prebenda . chiesa parrocchiale di Forni di Sotto. Tale accordo fu giurato dalle parti e presto confermato dal Patriarca. Ma una frazione di malcontento, che subito attirò dalla loro parte i Sindaci e lo stesso Pievano, si lamentò con il Patriarca, dicendo che per tale disposizione la quiete pubblica era gravemente compromessa, a causa di liti, e poi disordini sorti per questa causa nei due comuni. Il Patriarca incaricò il suo Vicario, certo Guarnero di Artegna, di accertare la cosa e questi, troppo credulo per malcontento, nella speranza di calmare gli animi, annullò il concordato nel 1449 e riportò le cose allo stato originario. Ma questo ha solo aggravato la polemica. Perché gli abitanti di Forni di Sopra, tramite il loro sindaco, il dotto notaio Nicolò Buliola, ricorsero a Roma, e papa Niccolò V nell’anno 1451 delegò come giudice in questione il canonico Giovanni di Maniago. Quest’ultimo, meglio accertate le cose, udite e discusse le ragioni della parte, confermò integralmente il patto, e dichiarò la chiesa di S. Maria di Forni di Sopra completamente immune da ogni soggezione a Forni di Sotto; costringendo però quel comune a versare entro tre anni ottanta ducati al parroco di Forni di Sotto. E se: il parroco di Forni di Sotto si rifiuta di accettarli, li mette in deposito presso persona solvibile. Questa sentenza fu pronunciata nell’anno 1455, ma anche contro di essa rivendicarono quelli di Forni di Sotto dicendo di volersi appellare al Pontefice con maggiori informazioni, e prima di ottenere una sentenza definitiva venne l’anno 1470.

In quel tempo il Vicario Patriarcale Andrea Vescovo di Ferentino impose una buona volta di. fattola finita, e riconfermò il patto del 1448, aggiungendo agli ottanta ducati da pagare al parroco di Forni di Sotto altri venti di affitto. Ma cosa? Il parroco rifiuta di accettarli e deve combattere ancora, fino all’anno 1478 il Vicario patriarcale ordinò che i cento ducati fossero investiti in un tale reddito da cui un reddito di cinque ducati all’anno verrebbe al parroco di Forni di Sotto , ed un certo Bernardo fu nominato primo parroco di Forni di Sopra. Complimenti a questo ma nd quelli di Forni di Sopra pagano questa cifra a Savorgnano che chiede garante per il livello annuale, certo Bernardino Sbroiavacca nobile di Udine. Ma quelli di Forni di Sotto protestano ancora, dicendo che il Savorgnano, essendo loro signore, poneva riverenza nella riscossione, e Sbroiavacca troppo lontana rendeva gravosa la restituzione. Di nuovo entrano in contenzioso e finalmente nel 1494 il vicario capitolare certo Geronimo pose fine ad ogni controversia, dichiarando valido il deposito e minacciandoli di sanzioni ecclesiastiche se avessero ancora osato porre loro tale questione dinanzi. Avendo nientemeno che nel 1512 il Pievano di Forni di Sotto Sebastiano de Signoribus dovette nuovamente mettersi in discussione per due affitti lasciati in arretrato da Savorgnano e Sbroiavacca; il livello fu estinto, e investito in molti beni permanenti nello stesso comune di Forni.

Il Cinquecento si aprì con la discesa dell’imperatore Massimiliano contro la Repubblica di Venezia (1508) e uno dei principali condottieri che si opposero alla discesa dei tedeschi fu Girolamo Savorgnan. Cominciò a prendere parte alla guerra in Cadore, e da Forni in pieno inverno entrò nella Mauria a Lorenzago per aiutare Alviano. I due valorosi generali sconfissero in pieno il nemico nella famosa battaglia di Rusecco che si svolse tra i paesi di Tai e la Valle di Cadore. Nel giugno 1509 i tedeschi con il loro condottiero Anhalt per Mauria rientrarono nuovamente nel Codore, ma giunti a Domegge furono nuovamente sconfitti a Vallesella dai Cadorini e dai Veneziani. Nel 1512 fu fatta una tregua, ma presto ripresero le ostilità, presto tutta la provincia cadde sotto i tedeschi ad eccezione del castello di Osoppo validamente difeso da Savorgnano; ma in conseguenza di ciò il destino cambiò presto, il tedesco lo fu. definitivamente sconfitto e la patria era libera. In queste guerre, oltre alle 100 lance piazzate, parteciparono in persona anche alcuni valorosi forniani, molto lodati dal Luogotenente, e la loro bravura e lealtà fu sempre inclusa nelle richieste che fecero nel 1520 per l’esenzione dal lavoro nel Ponte d’Ariis, e nel 1522 per l’esenzione dalla tassa di galeotto. Anche la peste, che ricomparve in provincia nell’anno 1511, era unita al flagello della guerra. Anche i due paesi di Forni furono molto spaventati, come esprime un’antica memoria, dal flagello pestilenziale che incombeva da vicino e già cominciava a soffrire. Paese; per la quale fecero voto in Forni di Sopra di edificare una sacra cappella alla Beata Vergine della Salute, che fecero nel 1515 con le immagini unite di S. Rocco di S. Sebastiano; a Forni di Sotto decretarono l’erezione di una cappella in onore di San Rocco e fu eretta nel 1521, e subito il paese sentì il beneficio di essere liberato da tale flagello.

Anche in questo secolo non sono mancate le liti. Ci furono contese con Savorgnano nel 1520-22 e ancora nel 1564. Ci furono contese tra due comuni nel 1560 per il bosco di Ruodia e due anni dopo per la strada del Rio Verde. La manutenzione della strada che da questo torrente si estendeva fino ai confini di Ampezzo era di competenza del comune di Forni di Sopra, e dal Rio Fielda (Vignorosa} fino alla chiesa di S. Antonio del Corso, di competenza del comune di Forni di Sotto I due borghi avevano protestato contro questo indebito fardello fin dal 1422, e nel 1467 e ancora nel 1470 la Serenissima condannò il comune di Ampezzo a mantenere la strada fino al suo confine del Rio Verde, e per essa iniziò a litigare con Forni di Sotto, contenzioso che si chiuse il 26 settembre 1562. Forni di Sotto fu costretto a subentrare alla manutenzione, ma Forni di Sopra dovette intraprendere il tronco della strada che da Marodia porta a Mezzavia oltre a pagare ottanta Ducati a Forni Inferiore a titolo di compenso.

Litigarono anche tra loro nel 1580 per i pascoli e Forni di Sopra nel 1575 sostenne una contesa sui confini con Cimolais.

Ma alla fine del secolo arrivarono per i due paesi alcuni anni di orribile carestia. Già nel 1571 Forni Sotto fu costretta a ricorrere ad un prestito in comune per la fornitura di grano, e nel 1596 Forni di Sopra ricorse ad un prestito di 500 Ducati dalla monaca Cristina Zorzi. Il peggio era che i popoli circostanti avevano formato una specie di monopolio sui generi alimentari, segno che nel 1578 lo stesso Luogotenente dovette intervenire per regolare i contratti: e nel 1590 la miseria si ridusse a tal punto che il Luogotenente Donà dovette vietare sotto pena di interdizione e carcere ai creditori per eseguire debiti privati ​​fino al prossimo raccolto.

Fatta eccezione per la guerra avvenuta tra la Repubblica e l’arciduca Ferdinando nel periodo primordiale, il secolo successivo trascorse senza guerre; ma per i nostri due comuni non mancarono le liti e le discordie interne.

Combatterono per essere esentati dal contribuire alla costruzione della fortezza di Osoppo, e ne furono dispensati dal Luogotenente 1630. Otto anni dopo, nuovamente vessati per questo aggravamento, si ribellarono apertamente e rifiutarono le stesse lettere di invito, per cui furono severamente imposti in un ducato della Serenissima. Si batterono per l’esenzione dalle tasse nei confronti di Ampezzo e Pieve di Cadore; si batterono per l’esenzione dalla tassa di galeotto e ottennero, come nel 1522, un nuovo sgravio nel 1655. Combatterono infine per separarsi, in mansioni molitorie, dal resto della Carnia; e nel 1656 furono concesse dal doge Bertucio Valerio, infatti furono ridotti i dazi di molitura per i due forni V. L. 343.18.

Tuttavia, questo secolo ha segnato un progresso per i due paesi. In effetti, vediamo l’industria tessile sempre più espandersi e l’istruzione progredire. Nei due paesi sono diversi i notai attraverso i quali si cominciarono a redigere gli Statuti o Regole a Forni di Sotto nel 1606, ea Forni di Sopra nel 1640, che formavano un codice di regolamento interno dei due paesi; e alla fine del secolo furono sistemate dal parroco De Micheli anche le entrate della prebenda parrocchiale di Forni di Sopra. Tuttavia, la fine di questo secolo fu devastata dalla terribile alluvione dell’agosto 1692.

In questo secolo vi furono in realtà altre lugubri disastri, e l’anno 1632 in cui i due villaggi furono devastati da terribili alluvioni rimarrà sempre memorabile, ma non sono nulla in confronto alla già citata alluvione del 1692.

“Due giorni e due notti continue. (Così lo descrive Grassi), era tanto e tanto furioso che sembravano aprirsi le cateratte del cielo e gli abissi della terra. Sorgenti sorsero dove prima non c’erano e con il tuono la terra tremò: perché tale paura è entrata negli uomini che molti credevano che fosse già arrivata la fine del mondo».

«E da questa impetuosa escrescenza dei torrenti, (come si esprime il doge Giovanni Cornelio in una lettera del 1713), furono allagate le strade, i palazzi e le chiese, le ville furono devastate e le terre divorate a monte ea valle; e perciò fu giustamente mossa la pubblica pietà e con paterna predilezione e concorso in suffragio per le necessarie riparazioni calcolate per la somma di Ducati 170.000; perdonando il dovere della macina per due decenni».

Da questa sanatoria, però, estesa per 28 anni a tutta la Carnia, furono esclusi i due Forni Savorgnani in quanto separati dalla Carnia stessa. Non che qui non ci fossero denunce per gravi danni: basta questa prova per ricordare la sottomissione di Buarta, paese posto quasi al confine di Forni di Sotto, dove perì la maggior parte degli abitanti; ed il Tagliamento, intercettato il passaggio dalla valanga, aveva dovuto indietreggiare formando un grande lago. Tanto che dopo aver esaminato e ponderato meglio le cose, nel 1707 furono inclusi nella grazia anche questi due comuni.

Sebbene, però, questa alluvione dovette certamente rimanere memorabile per molti secoli, la sua memoria fu presto cancellata per Forni di Sopra, da un’altra ancor più memorabile avvenuta nel 1748. Dessa fu causata da un temporale che improvvisamente, essendo una coeva afferma il cronista, «gonfiò tanto l’acqua di Tollina da demolire dalle fondamenta la canonica con l’attiguo giardino e non appena Piovano poté salvargli la vita restando un naufrago con gli abiti puri e soli che indossava. In questa piena perirono tutte le memorie dei Battizii Sposalizii e Mortori in una truffa quella contenuta nella suddetta canonica divenuta beffa e bersaglio delle alte onde». Insieme alla canonica l’impeto della corrente rimosse altre 14 case che formavano il paese Cià di Pavon, e produsse dovunque tali danni, che per perpetuarne la memoria, il 18 agosto di ogni anno qui si usa dare un segno con il tocco di tutte le campane.

Fatta eccezione per la disputa iniziale contro Tolmezzo per Pontasio, e quella sostenuta dal comune di Forni di Sopra contro i fratelli Schiaulini per la riconfigurazione del 1796 alla fine, questo secolo trascorse abbastanza tranquillamente per i due comuni. Le industrie continuarono a prosperare, la coltivazione del mais e della patata si diffuse e l’agricoltura, coltivata con nuovi prodotti su larga scala, pose fine alle frequenti carestie da cui furono spesso turbate in passato. Forni di Sotto approfittò di questa prosperità per edificare nel 1736 la chiesetta di S. Rocco, e nel 1775 iniziò la costruzione della Pieve Nuova che in un decennio stava completando. Consacrata nel 1790, questa chiesa ha tre corpi santi, cioè quello di S. Celestino M. posseduto dal 1775, quello di S. Minia M. situato nel 1821, e quello di San Istercoria nel 1885. Oltre all’antica chiesa di S Lorenzo, che vanta almeno 5 secoli di antichità, inizia ancora oggi la Chiesa della BV a Forni di Sotto della Pietà che fu restaurata nel 1824. Approfittando di questo benessere economico, Forni di Sopra fece costruire nel 1776 il suo magnifico campanile i due paesi dopo affrancarono nel 1799 ogni livello della loro decima con i Savorgnani; ma questa loro prosperità svanì presto alla fine del secolo.

Con la caduta della Serenissima nel 1797 i due borghi di Forni furono inglobati nel Cadore dal governo francese: e presto iniziarono le famose requisizioni che dai carri, buoi e fieno finirono con le camicie, le coperte e le argenterie delle Chiese. .

«E da queste fatali requisizioni ed aggravamenti, come espresse con delibera del 15 settembre 1802 del comune di Forni di Sopra, iniziò il consumo di parte delle vizze e dei boschi che compongono il suo patrimonio. Le cause, (continua), sostenute di seguito, il confinamento dei beni comunali e altri impegni, provocarono un’altra buona parte dello sterminio dei boschi, ed infine le generali e ripetute distribuzioni di erba e denaro in questi anni di malattia e scarsità provocarono il sterminio definitivo di questo loro patrimonio unico. “

Istituito nel 1815 il regno longobardo-veneto, Forni di Sopra per alleviare la miseria da cui gli abitanti erano oppressi, passò ad una suddivisione di parte dei beni comunali, ma la miseria peggiorò e divenne orribile negli anni 1816-17-18. Poi vennero anni di abbondanza e di quiete, e questi Forni di Sopra approfittò per edificare la sua vasta chiesa parrocchiale nel sessennio 1835-41 e presto nel triennio 1849-52 costruì la Chiesa della B.V. della Salute . Oltre queste due chiese e quella di S. Floriano fin dall’inizio citata, che vanta quasi sei secoli di antichità, vi è la Chiesa di S. Vito in Andrazza edificata nel 1626, e nuovamente restaurata nel 1742, essendo in parte insieme a cinque case vicine distrutta da un incendio, e quella di S. Giacomo in Vico. Quest’ultima chiesa di antichissima data fu restaurata nel 1461 come risulta dall’iscrizione gotica posta sul portone principale Anno Domini MCCCCLXI dell’ultima tavola Madij aedifica finiti haec Ecclesia.

Fatta eccezione per l’insurrezione del 1848 a cui i due paesi parteciparono con la resistenza al passo della morte; nessuna arma del destino è accaduta; e quindi l’istruzione e l’industria qui prosperarono sempre di più. E oggi grazie ai numerosi e intelligenti artisti che percorrono l’Europa e anche la lontana America, grazie alla costituzione di quattro fiorenti caseifici sociali, grazie alle facili comunicazioni effettuate dalla nuova strada nazionale nel maggio 1881, e ai vari forastieri che nella stagione estiva vengono a respirare quest’aria mite; le condizioni locali sono molto favorevoli e tutto ci fa sperare che un futuro prospero ci farà dimenticare la miseria passata.

 

 

ALBERO GENEALOGICO DEI FORNI SAVORGNANI